“Yesterday”, recensione in anteprima dal Taormina Film Fest

 

Yesterday, all my troubles seemed so far away, Now it looks as though they’re here to stay, Oh I believe in yesterday…”

Il terzo tributo musicale di stagione dopo la teutonica celebrazione dei Queen e Freddie Mercury in Bohemian Rhapsody e quella più camp e intimista di Elton John in Rocketman è questa ironica, tenera e un po’ fanciullesca digressione sul sound dei Beatles firmata Danny Boyle (Trainspotting, 127 ore, Steve Jobs). Il titolo stesso “Yesterday” evoca non solo una delle canzoni-simbolo della mitica band di Liverpool ma anche la nostalgia di un passato senza problemi (“all my troubles seemed so far away”) e di un tempo leggero, soave ed emotivamente incolpevole cui tutti più o meno siamo rimasti idealmente legati. Esattamente come la dimensione in cui si muove il protagonista della vicenda, party singer fallito e dalle sfumature un po’ nerd che vive con candida goffaggine tanto la propria (inconsapevole) storia d’amore con l’amica di sempre quanto la più grande vicenda sopra di lui, degna di uno stralunato fantasy anni ’80 (di quelli che ci avrebbero fatto impazzire da dodicenni). La storia (ma l’idea sarebbe da serializzare) è infatti quella di un misterioso e incomprensibilmente selettivo millenium bug che va a resettare dall’intero globo terracqueo “cose” come la Coca-Cola, le sigarette e nientemeno che i Fab Four, questi ultimi sbalzati fuori da ogni linea temporale conosciuta oltre che dalla memoria storica terrestre (leggi il web). Di John, Paul, Ringo e George e dei loro memorabili spartiti soltanto il protagonista finisce dunque per serbare ogni memoria sull’esistenza come in un distopico e musicale memento all’incontrario. L’immenso archivio di capolavori della melodia imprigionato dentro il lacunoso iCloud del protagonista diviene così un ghiotto tesoro pronto per essere nuovamente suonato, inciso e infine riconsegnato al mondo come una dirompente bomba discografica (e una nuova sconvolgente verità anche per Ed Sheeran, qui in una divertita e autoironica partecipazione) firmata stavolta non più Lennon/McCartney ma più anonimamente John Malik. Una menzogna che nel film ricollocherà i Beatles dentro la loro linea temporale perduta – fra una “Hey Jude” ribattezzata “Hey Dude” e una “Eleanor Rigby” riscritta nei luoghi dell’ispirazione originaria- dimostrando però a noi spettatori l’infallibilità di un preciso teorema musicale, quello secondo cui l’impatto di certe note non potrà mai conoscere alcun oblìo, né quello forzato di un impossibile evento cosmico né l’altro naturale dettato dalla perdita di memoria generazionale. Perché la storia è stata già scritta anche per chi l’ha dimenticata, mentre la verità rimane sempre in attesa di essere restituita al suo naturale download esistenziale. Gratuitamente è ovvio.

Danny Boyle celebra con mano lieve il più british dei miti musicali e con la complicità della scrittura briosa di Richard Curtis (cui dobbiamo le prevedibili implicazioni sentimentali della vicenda) porta a casa uno dei suoi lavori più fruibili e disimpegnati di sempre, in cui la freschezza dell’assunto lascia poco o nessuno spazio tanto all’introspezione quanto alla problematizzazione dell’idea, anche se in quell’obbligato rifugiarsi nel mito da parte del protagonista potrebbe leggersi indirettamente una critica a certa immaturità generazionale dei nostri tempi. Perché in quel passato divenutoci tanto confortevole, nostro e perfino esclusivo, rinsaldiamo legami e riscriviamo rapporti, affermando in qualche modo un’individualità che gli altri ci hanno negato nel presente (come accade inizialmente alla musica del protagonista). Un passato (musicale qui) di cui ci appropriamo facendo della nostra vita niente più che la sua cover nostalgica. E chissà se in “Yesterday” il fatto che nessuno al mondo conosca più i Beatles non corrisponda invece a un desiderio preciso  ( e che gli autori condividono con una generazione over 40) e cioè quello di escludere il mondo da ciò che più amiamo, rendendo invisibile agli occhi ciò che altri non possono comprendere ma che per noi resta essenziale. Riscrivere la storia a misura di fantasticheria sarà forse immaturo nella vita. Ma al cinema può regalare ancora qualche inatteso sussulto. Che “Yesterday” dona a tutti in una sequenza tanto impossibile quanto audace, talmente realistica da fare anche un po’ male al cuore. Non serve che qui la si descriva. Bisogna andare al cinema per viverla.

Andrea Lupo

 

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