Omaggio a Daria Nicolodi, musa, mater, madre…

L’omaggio a Daria Nicolodi è molto più di un saluto a un’attrice colta, eclettica e incisiva come poche in Italia (e che l’Italia avrebbe potuto e dovuto valorizzare di più). E’ il gesto accorato di un appassionato di cinema che trovò, appena dodicenne, in quello sguardo acuminato ma al tempo stesso carezzevole ed ironico, una ragione in più per amare l’horror. Uno sguardo capace sia di terrificare, quando si cristallizzava in figure smembrate tra pietas e follia (Schock, Phenomena), che di restituire a noi il terrificato, ovvero quell’orrore vissuto come vittima del metafisico (Inferno) o come involontaria giustiziera terrena (Tenebre). Occhi i suoi capaci di gridare senza bocca, lacerando i sipari rosso-fuoco con cui il compagno di vita e d’arte Dario Argento l’aveva sempre incorniciata tanto nei ruoli più memorabili (Profondo Rosso), quanto in semplici cameo (Opera), fino a quell’ultima apparizione di madre-fantasma accanto alla figlia Asia ne “La terza madre”, ultima sua apparizione cinematografica e insieme suggello di quel sodalizio tra arte e vita che non aveva mai conosciuto autentiche interruzioni ma soltanto “umane” soste. Su schermo l’amore impalpabile ma eterno di una madre (oltre le tre mater) per sua figlia; fuori da esso la devozione artistica per il suo compagno e l’affezione per un mondo, quello dell’orrore, di cui è stata parimenti artefice e ispiratrice.

Se ne va la Musa che viveva oltre quelle mater di cui aveva amorosamente tessuto la mitologia tanto visiva quanto musicale (i Goblin per “Suspiria” furono suggeriti proprio dalla Nicolodi) insieme ad Argento. Daria Nicolodi ha vissuto una carriera ulteriore al di là dell’orrore ed ha incontrato altri maestri (Rosi, Scola, Bava, Castellari) oltre a Dario, tanti artigiani di generi ( Cozzi, Soavi) e geni del teatro (Carmelo Bene). Avrebbe dovuto essere una carriera più densa la sua, fatta di più corteggiamenti da parte del cinema italiano, anche nella maturità. Ma nell’ultimo periodo della sua vita lei amava – come ammesso ironicamente nelle interviste- “garbeggiare” come la Garbo, centellinando le apparizioni e godendo di più come fruitore dell’arte che come protagonista della stessa, preferendo nutrirsi di quella cultura che è stata sempre l’humus di ogni sua scelta cinefila e la vibrazione dietro il singolo personaggio. Più donna e madre insomma che semplicemente attrice. Una mater umile, dolce e terrena per chi l’ha conosciuta ed avuta. Musa per sempre per tutti noi. Grazie Daria.

 

 

Disegno di Andrea Lupo

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