RESETTARE, come ogni fine anno ci ha sempre imposto, è il gesto del nostro ideale ricominciare, il ritorno alle condizioni originarie, quel metaforico “ripristino delle condizioni iniziali” da cui poter ripartire come dei PC guasti, nonché la spinta -esistenzialmente “forzata”- a fare della nostra vita in entrata meglio di quanto non avessimo fatto con l’altra in uscita. Un rito “tribale” (perché sempre primitivi restiamo) accompagnato da una cacofonia di botti e tappi, gare di razzi e festosi trenini che girano in tondo illudendosi di percorrere il binario dell’infinito (8)- mentre l’unica direzione certa è il davanti- e salutando stazioni che non sarebbero più tornate. Non mi è mai piaciuto capodanno e credo che al rigo dieci di questo post lo abbiano capito pure le mosche domestiche (anche le meno social). Li ho sempre odiati quei trenini (ma continuo ad adorare Gloria Gaynor) e detestato l’ansia da divertimento che li accompagnava tutta la notte. Molto meglio l’alba, quieta e fulgida come sempre perché almeno lei non mentiva mai. Odio capodanno perché, lo dico con le parole di Calvino, “odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito”. Ho odiato, aggiungo io, anche quel “reset” del calendario giunto al termine, pure del più tragico, perché quell’ imperativo spumeggiante e pieno di frastuono, insieme alla tragedia mi imponeva quasi di maledirlo tutto quell’anno poco felice, includendovi pure le parentesi liete che fiorivano in mezzo al dolore, la spensieratezza prima della consapevolezza, la bella musica e le disarmonie. Ecco non essendomi mai sentito un PC guasto quelle scorie me le sono sempre tenute care e preferisco ancora portarmele dietro, consapevole che rallentano il funzionamento dei programmi (di vita) ma tirano avanti gli ingranaggi. Ora che invece siamo tutti PC infetti e a rischio virus (nessuna ironia qui), costretti a condividere più o meno il medesimo destino, è bene che quei detriti impariamo a portarceli dietro, facendone il fardello del giorno presente, puntando al miglioramento dei giorni futuri. Perché sono le scorie, quelle che per qualche istante ci sbattono in faccia la verità, a renderci consapevoli sia di un destino comune che dei tanti interlacciati fra loro. Sono la lezione del nostro passato prossimo e un monito indelebile per il futuro vicino. Sono la tragedia e insieme l’occasione, ove e se saremo in grado di far fiorire quest’ultima. Perché non si esce migliori dall’esperienza solo quando si è giunti nella zona confortante, finalmente al riparo dal pericolo e con la lucidità mentale per salmodiare agli altri in pericolo “andrà tutto bene”. Siamo noi l’esperienza, già migliori o peggiori di ieri non tanto sulla base di un consuntivo “esterno” ma nel riflesso dello specchio-specchio del nostro ego. Tutti dentro, nessuno escluso, col sottoscritto fra i primi, reo di bramare quel ritorno alla (sua) normalità che forse è mancanza di rispetto per le tragedie altrui e attuali, con o senza virus. Continua Calvino “ Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse”. Questo è il vero reset di capodanno, il più autentico e fertile. L’altro, quello più pericoloso, ci obbliga ancora a fare i trenini, mentalmente dentro i vagoni del divertimento che verrà. Ma non c’è alcuna gioia che dia veramente gioia come quella che nasce la mattina dopo il dolore. E per provare vera gioia quel dolore va innanzitutto condiviso, confortato o anche solo lontanamente lenito attraverso altruismi impercettibili e solo in apparenza non connessi. Sono le azioni fuori campo che, senza saperlo, creano il concetto di buono.
Non auguriamoci quest’anno un “buon anno” ma solo “un anno migliore”. Perché se si rivelerà buono sarà stato il destino a determinarlo per tutti noi. Se invece diventerà un anno “migliore” rispetto al precedente quella sarà stata solo farina del nostro sacco…
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