La Favorita e la legge animale del cinema di Lanthimos

La Metamorfosi come condizione risolutiva dell’essere, il castigo fisico quale contrappasso del disordine sociale, le relazioni insolubili fra il fato e l’arbitrio. Sono queste alcune delle tematiche ricorrenti nel cinema di Yorgos Lanthimos regista greco che ha saputo codificare in forme inusuali e cinematografiche molte componenti culturali e identitarie del proprio paese. A fare da ponte concettuale fra le stesse v’è forse un’unica metafora, lineare, scoperta e severa: quella dell’animale. E’ questa infatti a far interlacciare idealmente gli ultimi tre film del celebrato autore verso una sorta di unicum conclusivo, una  riflessione gelidamente “etologica” sulla natura umana e sulle conseguenze ferine delle sue azioni (o inerzie). Ed è una metafora che campeggia fin dai titoli prescelti. Dal crostaceo individuato da Colin Farrell come possibile trasfigurazione fisica del proprio “io” imbelle nel distopico “The Lobster” fino all’allegorico animale votivo de“Il sacrificio del cervo sacro”, immolato per ripristinare l’equilibrio familiare e con esso l’ordine sociale sconvolto. Quali logiche prosecuzioni e naturali estensioni di quella simbologia assurta a leit-motiv intertestuale fra opere stanno oggi le fiere aristocratiche e incastonate nella Storia protagoniste de ”La favorita”. Sono belve scaltre e imbellettate che vanno sbranandosi lungo i corridoi di una reggia inglese dei primi del Settecento trangugiando libbre di carne e vomitando infine il proprio bolo fatto di potere, manipolazione sessuale e favori. Che poi sono quelli della regina Anna (Olivia Colman, infinita), sgraziata e disgraziata discendente del casato Stuart afflitta da gotta, capricciose instabilità e il dolore incandescente di ben 17 maternità negate (per colpa della sindrome di Hughes).

Lotte fra diverse diplomazie “animali” -fra Lady Sarah (Rachel Weisz) per la ragion di stato e Lady Abigail (Emma Stone) per la “propria” ragion veduta- che si consumano, intrecciandosi ai fili di cortigiani sottilmente manipolatori o soltanto fisiologicamente cretini, tanto tra lo sfarzo di ossequiosi grandangoli interni che in mezzo ai fanghi escrementizi dei giardini, in un’alternanza dentro-fuori che più moralmente paradigmatica non si potrebbe. Il tutto sotto gli occhi di animali autentici (oche, uccelli, conigli) che non sono più né trasfigurazioni alla “Lobster” né tragiche allegorie greche ma giusto muti testimoni dello sfacelo o magari silenti domini degli umani (Chi conduce davvero il guinzaglio delle oche da corsa? E non sono quei conigli a governare inconsapevolmente il dolore umano?). E’ significativo che il percorso intrapreso da Lanthimos per profilare una simile analisi sull’uomo e sul rapporto di questi con la natura che lo governa (altro che raziocinio e superiorità) abbia avuto inizio da un futuro distopico (“The lobster”), sia proseguito poi in un presente mitologico (“Il sacrificio del cervo sacro”) per concludersi oggi dentro il passato stori(ografi)co, inseguendo (volontariamente?) un’inversione temporale che finisce per acutizzare l’inesorabilità di quella legge portata in scena. Una legge sempre uguale, sembra volerci dire, anche procedendo a ritroso. Nessuno pare poter sfuggire ai commi di un giusnaturalismo praticamente implacabile, selvaggio e spesso indipendente da volontà, a quella norma irrazionale che da secoli ingloba il singolo così come le istituzioni (familiari, sociali, politiche). E se ne “La favorita” vi sembrerà (a torto per chi scrive) che a prevalere su quella triangolazione al femminile sia, in fin dei conti, solo una maschile ragion di stato, mettete allora a confronto le scene di sesso etero presenti nei tre film. Sono tutte casualmente “manipolatorie” col maschio passivo che “subisce” una prestazione femminile quantomai sbrigativa e annoiata. No, non è una manifestazione politica della supremazia muliebre sul genere, ma solo l’ennesima rivendicazione di madre (natura) che prevale sopra le sue stesse creature, appena un un po’ illuse di tenere ogni cosa per il manico. Tutto questo, naturalmente, mentre intorno uccelli, oche e conigli continuano a godersi il patetico spettacolo che l’uomo offre loro gratuitamente. Sarà pure superbo il discorso ma resta indubbiamente sublime.

Andrea Lupo

 

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