HORROR tagged posts

Longlegs, le bugie hanno le gambe lunghe

AVVERTENZA: CONTIENE SPOILER. NON LEGGERE PRIMA DI AVER VISTO IL FILM.

Si dice, dai tempi di Pinocchio, che le bugie hanno le gambe corte. Perché? Perché non possono correre troppo lontano e prima o poi le verità che nascondono verranno a galla. Però esistono anche bugie con le gambe lunghe, quelle che corrono veloci e si propagano, esattamente come il male che (normalmente) veicolano. “Gambelunghe”, non a caso, è l’allusivo nomignolo del serial killer (un grandioso Nicolas Cage) protagonista del cupissimo quarto film di Osgood Perkins, al secolo figlio di Anthony -Norman- Perkins. “Longlegs” è, a un primo sguardo, un thriller psicotico inzuppato nelle peci dell’horror, con la sua visione esatta e “perpendicolare” di un male vivo e in apparenza assopito fra villette ordinarie...

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Omaggio a SHELLEY DUVALL, lo sguardo di “SHINING”

Che “Shining” probabilmente non esisterebbe senza Jack Nicholson lo sappiamo tutti. Ma quel film non sarebbe stato lo stesso senza Shelley Duvall nel ruolo della terrificata moglie Wendy. La Duvall tuttavia non è stata “solo” Kubrick ma anche Altman, Allen, Campion…Grandi ruoli e piccole partecipazioni attraversati da occhi vividi e traboccanti. Occhi capaci di “urlare la paura” quando la paura non sa emettere più suoni. Se le visioni di “Shining” sono ancora oggi tanto spaventose lo dobbiamo proprio allo sguardo di Wendy, che ha guardato nell’abisso dell’Overlook Hotel quell’attimo prima che lo facessimo noi…

Disegno di Andrea Lupo

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“L’origine del Presagio”- Nomen OMEN Femen…

Il diavolo al cinema non fa più paura. A condannarlo a una simile sorte sono stati, solo di recente, i pessimi esiti artistici di titoli come “L’esorcista del Papa” o il dittico di “The Nun”, i cui demoni ipercinetici sembrano essere stati concepiti più per intrattenere adolescenti in astinenza da cinecomics che gli appassionati del genere in cerca di (briciole di) brividi sinceri. Messo all’angolo da jumpscares, scricchiolii di membra (dei riposseduti) e tarantolate camminate su per muri e scale (ahi quanti danni quei minuti recuperati dalla director’s cut de “L’esorcista”…), il diavolo oggi se ne infischia pure di mettere lo zampino sui set, guardandosi bene dall’ inseminarli con quelle morti accidentali “sospette”, capaci, un tempo, di impressionare i faciloni e far v...

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TALK TO ME, la morte secondo la Generazione Z

La morte è qualcosa che non dovremmo temere perché, mentre siamo, la morte non lo è, e quando la morte è, non lo siamo.” (Antonio Machado). 

Il cinema, come medium, non teme la morte perché fonda la sua ragion d’esistere su un meccanismo di ripetizione (e di rinascita) che si consuma tanto nei luoghi (oscuri) della proiezione, che sulla superficie corneale dello spettatore. Il cinema è ciclico e ritornante, dunque già zombie. L’horror al cinema, per sua natura, non può temere la morte e l’adopera sempre come fondamentale meccanismo di seduzione visiva, sia quando ne filma il “compiersi” più esplicito ed efferato (come nello slasher), che nella messinscena del suo “dopo”...

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Halloween, la “forma”del Male nella nuova trilogia

Con “Halloween Ends” il regista David Gordon Green conclude la sua discussa e coraggiosa trilogia dedicata alla maschera omicida partorita dall’immaginazione di John Carpenter con il seminale “Halloween-la notte delle streghe”. Un’operazione nata come reboot di una saga che, a essere onesti, tra gli anni ’80 e i ’90 non aveva riservato all’icona Michael Myers un trattamento degno o all’altezza del cult del 1978. Perché ad eccezione di un discreto sequel che prolungava la fatidica notte delle streghe fin dentro l’ospedale in cui era ricoverata una malmessa Laurie Straude (la mitica Jamie Lee Curtis) e di un gustoso capitolo (“Halloween 20 anni dopo”) concepito dentro la filosofia dello slasher post-Scream rilanciata dalla Miramax, gli episodi successivi brillavan...

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Cinema, mostri e quel tenero bisogno di (soprav)vivere…

Ai mostri della nostra adolescenza cinefila siamo rimasti tutti un po’ affezionati. Che sia un’ombra espressionista che galleggia nel subconscio, un killer ruvido e muto che punisce il sesso precoce degli adolescenti o il seme di una responsabilità adulta che germoglia nei sogni dei figli come creatura guantata e assassina, quegli incubi, volenti o no, li custodiamo ancora. Alcuni se ne sono sbarazzati chiudendoli in uno scantinato, mentre la polvere del tempo li sminuiva come giocattoli in disuso e i fardelli della vita ne occupavano il posto...

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Ultima notte a Soho

Just listen to the music of the traffic in the city, linger on the sidewalk where the neon signs are pretty
How can you lose? The lights are much brighter there. You can forget all your troubles, forget all
your cares So go downtown…

(“Ascolta soltanto la musica del traffico della città, soffermati sul marciapiede dove le insegne al neon sono belle. Come le puoi perdere? Le luci là sono più brillanti. Puoi dimenticare i tuoi guai, dimenticare  tutte le preoccupazioni. Quindi vai in centro…”)

La voce di Petula Clark nella hit “Downtown” lo diceva chiaramente in quei favolosi ’60: il sogno alberga nelle grandi città, il rumore del traffico è musica e le luci (rigorosamente neon) fanno dimenticare le preoccupazioni. E’ la City, bellezza ed è lì soltanto per te...

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Midsommar e il folk horror alla radice delle paure moderne

Il folk horror fa paura. Forse più paura dell’horror stesso. Fosco sottogenere che (r) esiste al cinema da quasi 60 anni come una sorta di innesto malato, rappresenta dell’horror la corrente forse più estrema, assai poco conciliante e perfino anti-sistema. Da gemme primordiali filiate fuori dalla Hammer Film come “Il grande inquisitore” (1968, con l’icona Vincent Price) e “La pelle di Satana”(1971) fino a più recenti declinazioni autoriali offerte da opere destabilizzanti e lisergiche come “I disertori” o pittoriche e rigorose come “The VVitch”, questo filone non nasce con specifici intenti finalistici (come ad esempio il più codificato e fortunato sottogenere “demoniaco”, modellato sulle paranoie anni ’70 e intorno al sentimento cattolico della middle-class ...

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PET SEMATARY, quel cimitero che “vive” oltre la pagina

AVVISO SPOILER AI LETTORI: SE NON AVETE LETTO IL LIBRO, VISTO IL FILM O IL SUO REMAKE NON LEGGETE QUESTA ANALISI. CONTIENE ANTICIPAZIONI ED EVENTI FONDAMENTALI DELLA STORIA DI STEPHEN KING E DELLE DUE TRASPOSIZIONI UFFICIALI.

  1. La terra e la pietra, il dolore e la metafora in “Pet Sematary” di Stephen King

Il cuore di un uomo è più duro di una pietra. Ogni uomo coltiva i propri affetti come può e ha cura delle creature che ama. Perchè l’amore per le persone che ci sono care, è la vera, unica ricchezza. E l’amore è un sentimento che supera anche il limite invalicabile della morte.(Pet Sematary, 1983)

C’è il racconto “La zampa di scimmia” dello scrittore inglese William Wymark Jacobs alle origini del bellissimo e terribile romanzo di Stephen King...

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